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20 ottobre 2014

Norway #2

Non scatto con la reflex digitale da quando sono tornata dalla Norvegia, ormai più di due mesi fa.
Di ragioni ve ne sono diverse, forse più personali che prettamente fotografiche. E tra quest'ultime includo anche quelle più emotive, come l'euforia di ritirare un rullino sviluppato e non sapere con esattezza cosa si avrà tra le mani, un po' perché la fotografia analogica è imprevedibile, soprattutto per me che sono alle prime armi, un po' perché tra lo scatto e la sua stampa o digitalizzazione solitamente trascorrono settimane: sulla 1100d ricontrollo più volte quanto scattato, al punto che il più delle volte, avendole continuamente sotto mano, le immagini impiegano molto più tempo a diventare ricordo.
Con la Yashica non posso tornare sull'immagine, non posso rivivere immediatamente la sensazione.
Questo fa sì che quando ho finalmente tra le mani le fotografie appena stampate, l'emozione passata si rifaccia subito vivida e pulsante, addolcita, ma non attenuata, da quell'atmosfera sognante che solo la pellicola è in grado di ricreare.
Sono affezionata a ognuna delle duecento foto scattate in analogico durante il viaggio, anche a quelle quasi del tutto bruciate - e non intenzionalmente, anche a quelle in cui il soggetto è troppo scuro, o fuori fuoco, o totalmente diverso da quello che appariva ai miei occhi, anche a queste prime, sebbene la totale mancanza di luce di quei giorni si faccia sentire e pesi moltissimo - così come la mia iniziale incapacità di sciogliermi, fotograficamente parlando e non, che si tratti di un viaggio o meno.
Delle duemila foto scattate con la digitale, ne amo forse una trentina.
Di fronte ad ogni bellissimo paesaggio, mi armavo di macchina fotografica e scattavo dieci, venti, trenta foto. Ricercavo la perfezione, la corrispondenza tra ciò che appariva sul display e ciò che vedevo, colma di stupore. Ed è inevitabile che nel riguardare decine di foto tutte uguali, più o meno tecnicamente apprezzabili, un po' di magia si perda per strada.
Con la Yashica non funziona così: la corrispondenza che cerco fin dall'inizio non è tra occhi e foto, ma tra dentro e fuori. All'analogico affido la meraviglia di fronte alle piccole cose, lo spaesamento di fronte a quelle grandi, la dolcezza di sapersi al sicuro e all'asciutto mentre fuori piove, la stanchezza di una giornata bellissima ma intensa, il sollievo di una pioggia improvvisa mentre si cammina da ore, tutto ciò che sento e che non sempre il mio sguardo riesce a cogliere.
Se si è abbastanza bravi in post-produzione, tutto questo è possibile a posteriori, e tra l'altro maggiormente controllabile, anche se si scatta digitale, ma l'immediata soggettività dell'analogico mi ha affascinata, incantata, rapita.
L'imperfezione è poesia, e prima di avere tra le mani i preziosi e sbagliatissimi risultati del mio primo rullino non avevo mai sentito quest'affermazione così giusta, così ovvia, così mia.








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